Annabelle Gawer “Piattaforme digitali”28 minuti di lettura

Implicazioni sociali dei nuovi modelli di business dominanti dell’economia digitale.

Piattaforme digitali - Annabelle Gawer

Questo è un’estratto dell’articolo: “Online Platforms: Societal Implications of the New Dominant Business Models of the Digital Economy” di Annabelle Gawer, Università del Surrey.

Il contributo è stato pubblicato nell’ambito del progetto di ricerca “Governing Work in the Digital Age” del Prof. Anke Hassel, supportato dal Ministero Federale del Lavoro e degli Affari Sociali tedesco. www.digitalage.berlin.

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Introduzione: Cosa sono le piattaforme digitali e come creano valore?

Le piattaforme online e i relativi ecosistemi rappresentano la nuova e dominante forma organizzativa dell’era digitale: queste piattaforme giocano un ruolo fondamentale nella creazione del valore digitale che supporta la crescita economica attuale e futura nell’UE.

Questo articolo utilizza i termini “piattaforme“, “piattaforme online” e “piattaforme digitali” in modo intercambiabile, per indicare servizi digitali che facilitano interazioni via internet tra due o più gruppi distinti ma interdipendenti di utenti (sia aziende che individui). Esempi di tali piattaforme online includono marketplace online, app store, motori di ricerca, social media e piattaforme per l’economia collaborativa.

Nonostante la varietà di settori in cui operano e la diversità delle attività che facilitano, le piattaforme online condividono caratteristiche economiche, commerciali e di governance comuni nella creazione e nell’accumulazione del valore.

Queste caratteristiche includono:

  • La generazione di economie di scala e di scopo;
  • Effetti di rete, che possono portare a posizioni monopolistiche “winner-take-all“;
  • Modelli di business che coinvolgono la il sussidio incrociato [cross-subsidisation] tra i diversi lati della piattaforma;
  • Generazione, cattura e utilizzo pervasivo dei dati;
  • L’agire come regolatori privati dei propri ecosistemi, che includono aziende e utenti individuali, gestendo quindi come territori privati le relazioni commerciali, gli scambi di dati e le transazioni che facilitano.

Forme organizzative

Le forme organizzative emergono per sfruttare le opportunità tecnologiche ed economiche specifiche di un dato momento. La rivoluzione digitale in corso è significativa per portata e ramificazioni quanto lo fu la rivoluzione industriale circa 150 anni fa. Essa dà origine a nuove forme organizzative che sono posizionate in modo unico per creare e catturare valore nell’economia digitale: le piattaforme e i loro ecosistemi associati.

Più di 150 anni fa, la rivoluzione industriale ha portato alla nascita della moderna Corporation. Alfred Chandler (1990), nel suo libro “Scale and Scope: The Dynamics of Industrial Capitalism“, spiega come la moderna Corporation sia nata e si sia evoluta per sfruttare le tecniche di produzione rese disponibili dalla Rivoluzione Industriale.

Con le sue gerarchie manageriali multi-divisionali, l’azienda industriale ha creato valore generando un vantaggio competitivo grazie all’uso di nuove infrastrutture tecnologiche, come elettricità e ferrovie, per creare processi produttivi più efficienti. Fu così che le aziende ottennero, controllarono e coordinarono risorse per creare prodotti attraverso sistemi di produzione sempre più integrati e automatizzati.

Se la Rivoluzione Industriale permise massicce economie di scala e di scopo, la rivoluzione digitale ha abbassato drasticamente i costi di scalabilità a livello globale.

L’emergere di personal computer, internet, dispositivi mobili e server cloud ha permesso la formazione e la crescita delle piattaforme digitali, a volte in modo esponenziale.

[…]Inoltre, le aziende non hanno più bisogno di investire nell’innovazione da sole o possedere tutti gli asset che forniscono ai consumatori. Risorse che risiedono al di fuori del perimetro dell’azienda possono essere sfruttate e monitorate a distanza.

In altre parole, le piattaforme digitali creano valore facilitando scambi o transazioni e promuovendo l’innovazione. Forniscono una struttura che può sfruttare i bassi costi di ricerca del digitale per generare corrispondenze efficienti tra utenti connessi a livello globale. […]

Le piattaforme digitali, infine, facilitano anche l’innovazione, consentendo a aziende terze, come ad esempio gli sviluppatori di software, di creare enormi quantità di prodotti o servizi complementari.

Cusumano, Gawer e Yoffie (2019) propongono una classificazione delle piattaforme che si concentra su come creano valore, distinguendo due tipi principali e un tipo ibrido combinato (vedi Figura. 1):

  • Piattaforme di transazione: facilitano le transazioni tra molti individui e organizzazioni che altrimenti avrebbero difficoltà a trovarsi o a effettuare transazioni tra loro. Catturano e trasmettono dati, inclusi dati personali, su internet (ad esempio, Tmall, Google Search, Amazon Marketplace, MercadoLibre). Queste organizzazioni riducono i costi di ricerca e altri costi di transazione per miliardi di utenti, clienti e fornitori.
  • Piattaforme di innovazione: servono come blocco tecnologico su cui gli innovatori possono sviluppare prodotti o servizi complementari (ad esempio, iOS, Google Android, Linux).
  • Piattaforme ibride: combinano le caratteristiche delle piattaforme di innovazione e delle piattaforme di transazione. Google, Amazon, Microsoft, Apple e Facebook sono tutte piattaforme ibride.
Tipologie di piattaforme online
Figura 1: Tipologie di Piattaforma – Sorgente: Cusumano, Gawer, and Yoffie (2019)

[…]I beni digitali generano una grande quantità di benessere per i consumatori che attualmente non è considerata nella misurazione del prodotto interno lordo (PIL).

Sebbene il PIL sia spesso utilizzato come un indicatore del benessere, il surplus del consumatore tende ad essere un’indicatore migliore in questo senso. Infatti, la ricerca sull’argomento dimostra che i consumatori attribuiscono un valore finanziario significativo a una gamma di servizi online: ad esempio attribuiscono migliaia di dollari di valore ai motori di ricerca e alle mappe digitali (Brynjolfsson et al., 2018; Brynjolfsson et al., 2019).

[…]

Le piattaforme digitali prosperano sulla generazione, acquisizione e elaborazione continua e pervasiva dei dati.

Il processo globale di digitalizzazione in corso supporta una riprogettazione a livello economico dei processi di creazione, consegna e cattura del valore. La connettività pervasiva abilitata dalle infrastrutture digitali come Internet e le reti mobili consente la condivisione dei dati, collegando oggetti, individui e organizzazioni che consumano e generano dati.

Le complementarità tra i processi di generazione, connettività e aggregazione dei dati aiutano a ridurre i costi di transazione nel tempo, influenzando l’architettura della catena del valore globale.

L’evoluzione della tecnologia ha reso possibile per le aziende raccogliere, immagazzinare e utilizzare vasti quantitativi di dati. La cattura e l’analisi di questi dati sono cruciali per i modelli di business della maggior parte delle piattaforme digitali.

La transizione alla connettività always-on ha cambiato radicalmente il modo in cui esseri umani, organizzazioni e macchine, come agenti o risorse, possono essere identificati, monitorati e controllati. In contesti connessi a Internet e digitalizzati, le risorse possono essere controllate senza una proprietà formale o un impiego.

[…]

Come spiega Hal Varian, capo economista di Alphabet-Google: “Poiché le transazioni sono ora mediate dal computer, possiamo osservare comportamenti che in precedenza erano inosservabili e scriverci sopra contratti.”

Questa riduzione dell’incertezza aiuta a ridurre la necessità di proprietà delle risorse: le aziende possono restringere i loro confini se sono in grado di collegarsi digitalmente a agenti e risorse remoti per catturarne i dati, che possono poi analizzare e sfruttare.

Ad esempio, gli utenti delle piattaforme di social media non pagano per l’uso del servizio in termini monetari, ma “pagano” dando la loro attenzione alla piattaforma e permettendole di raccogliere dati su di essi, dati poi utilizzati nella vendita di pubblicità mirata agli utenti stessi.

Le piattaforme digitali come Google e Facebook […] dipendono dalla cattura e dal trattamento dei dati degli utenti. Per queste aziende la porzione di entrate derivanti dalla pubblicità supera di gran lunga quelle provenienti da altre linee di business. Gli annunci mirati che Google presenta al consumatore sono derivati dai dati catturati nel momento in cui un utente inserisce una query di ricerca, combinati con altre informazioni rivelate dal suo comportamento online all’interno o all’esterno di Google Search.

Per Facebook, gli annunci mirati sono derivati dai comportamenti dell’utente, quali i click su specifici contenuti o annunci e il tempo speso su determinate pagine, ovvero il il complesso delle sue azioni sulla piattaforma e su altri siti web.

Nonostante i molti benefici associati alle aziende di piattaforme digitali, studiosi come Lanier e Zuboff (2019) considerano criticamente la logica della “datafication” delle attività umane, sottolineando come influisca profondamente, in peggio, sugli esseri umani e sulla società.

Queste preoccupazioni, che possono essere raggruppate sotto il termine ombrello di “capitalismo della sorveglianza“, si concentrano sulle conseguenze dell’interazione continua e spesso inconsapevole con organizzazioni (le piattaforme digitali) che sembrano offrire loro servizi “gratuiti”.

In realtà gli utenti sono coinvolti nel perseguimento di un altro obiettivo, quello delle piattaforme, che mirano a manipolare i comportamenti degli utenti a vantaggio di terzi paganti. Zuboff sostiene che questi meccanismi economici possono minacciare valori fondamentali come la libertà, la democrazia e la privacy.

Le piattaforme digitali con modelli di business basati sulla pubblicità ricevono critiche specifiche, concentrate sul fatto che tali piattaforme catturano e monetizzano i dati generati dagli utenti in modi che possono generare enormi profitti, lasciandoli spesso inconsapevoli del ruolo che svolgono. Il sistema quindi strumentalizza i propri utenti, utilizzando i loro comportamenti come input, in una logica di business alimentata da strategie di aziende estrattive di dati.

Lanier ha definito le piattaforme di social media basate sulla pubblicità “imperi di manipolazione del comportamento” e sistemi di “modificazione del comportamento algoritmico”, nei quali “chiunque sia sui social media riceve stimoli individualizzati, continuamente regolati, senza pausa, finché utilizza il proprio smartphone.Ciò che una volta poteva essere chiamato pubblicità quindi deve ora essere inteso come tentativo di modificazione continua del comportamento”.

Lanier sostiene inoltre che “ciò che è diventato improvvisamente normale — sorveglianza pervasiva e manipolazione costante e sottile — è immorale, crudele, pericoloso e disumano”, condannando i “colpi di dopamina” che creano “dipendenza” degli utenti dalle piattaforme di social media, minacciandone il libero arbitrio.

Shoshana Zuboff - Piattaforme digitali
Shoshana Zuboff – Photo credit Financial Times

Le piattaforme come nuovi governatori dell’economia digitale

Spinte dalla loro profonda influenza nelle nostre vite, plasmando il modo in cui le persone lavorano, comunicano, fanno acquisti e si divertono, le piattaforme digitali hanno raggiunto una posizione di centralità nell’economia.

Questa centralità [è stata accompagnata da] da un ampio ventaglio di discussioni relative alle modalità in cui le più grandi piattaforme digitali avrebbero abusato del loro potere tramite pratiche anti-concorrenziali, raccolta massiccia di dati personali e mancate azioni di contrasto alla generazione di contenuti illegali o dannosi.

La maggior parte delle piattaforme digitali agisce come regolatrice privata del proprio ecosistema. In altre parole, esse stabiliscono le regole attraverso le quali i propri utenti (sia individui che organizzazioni) interagiscono, decidendo quali comportamenti incoraggiare o scoraggiare, e scelgono come farle rispettare.

In questo modo […] esercitano un controllo significativo sui membri del loro ecosistema di piattaforma. Questa funzione di definizione delle regole è parte di ciò che alcuni chiamano “governance della piattaforma”, […] e può generare un valore significativo per i propri utenti.

Una buona governance della piattaforma è un atto di equilibrio tra la creazione di valore per le varie parti in gioco, quando queste possono essere mosse da incentivi divergenti.

Per le piattaforme di innovazione, un obiettivo importante della governance è garantire la qualità dei contributi […]. Esempi di tali norme includono:

  • La regolazione dell’accesso e dell’esclusione da un mercato, la regolazione dei modi in cui i venditori possono presentare le proprie offerte […]
  • L’istituzione di sistemi di classificazione
  • La regolazione dell’accesso alle informazioni generate sulla piattaforma
  • L’imposizione di standard per le politiche di consegna e restituzione
  • L’imposizione di controlli sui prezzi […]

Nel loro lavoro del 2016, Parker, Van Alstyne e Choudary spiegano:

Nella complessità delle questioni di governance che affrontano, le più grandi piattaforme di oggi assomigliano a stati-nazione. Con più di 1,5 miliardi di utenti, Facebook supervisiona una ‘popolazione’ più grande di quella della Cina. Google gestisce il 64 percento delle ricerche online negli Stati Uniti e il 90 percento di quelle in Europa, mentre Alibaba gestisce più di 1 trilione di yuan (162 miliardi di dollari USA) di transazioni all’anno e rappresenta il 70 percento di tutte le spedizioni commerciali in Cina. Le piattaforme di questa scala controllano sistemi economici che sono più grandi della maggior parte delle economie nazionali.

Una differenza fondamentale, ovviamente, tra stati-nazione e aziende di piattaforme è che le regole di governance degli ecosistemi di piattaforme digitali sono stabilite dalle aziende di piattaforme che sono imprese private e non sono soggette a processi di governance democratica.

La governance degli ecosistemi di piattaforme non si limita alla definizione di regole rigide. Per le aziende di piattaforme, consiste anche nell’inviare impegni credibili ai membri dell’ecosistema affinché continuino a essere affiliati alla piattaforma. Questo è particolarmente importante quando le piattaforme affrontano la concorrenza di altre piattaforme.

Quando le piattaforme non sono dominanti, gli utenti possono scegliere di abbandonare la piattaforma principale e migrare verso altre piattaforme se le regole della piattaforma principale non li soddisfano. Tuttavia, quando una piattaforma diventa dominante o monopolistica, il ruolo della piattaforma come regolatore privato può diventare problematico. Ad esempio, una piattaforma dominante che consente transazioni tra acquirenti e venditori e vende direttamente agli acquirenti può avere incentivi per applicare abusivamente l’autopreferenza, ovvero dare un trattamento preferenziale ai propri prodotti e servizi.

Il rapporto “Competition Policy in a Digital Era” per la Commissione Europea indica che “a causa della loro funzione di regolatori, le piattaforme dominanti hanno la responsabilità di garantire che le loro regole non impediscano una concorrenza libera, non distorta e vigorosa senza giustificazione oggettiva.

Una piattaforma dominante che istituisce un mercato deve garantire condizioni di parità in questo mercato e non deve utilizzare il suo potere di definizione delle regole per determinare l’esito della concorrenza.

Gli effetti delle piattaforme digitali sull’occupazione

gig economy - piattaforme digitali - annabelle gawer
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Una varietà di nuovi lavori è emersa nell’economia digitale. Questi diversi lavori possono essere categorizzati in

  • Lavoro on-demand
  • Crowdwork

Queste tipologie di impiego sono organizzate tramite piattaforme digitali (app e siti web) e si concentrano su una modalità di lavoro a breve termine (quindi sono spesso chiamati ‘gig economy‘). […]

L’elemento più rilevante del lavoro sulle piattaforma è il suo basarsi su una relazione di lavoro non standard. Molti di questi impieghi sono infatti regolati da contratti in cui i lavoratori non sono definiti come dipendenti, ma piuttosto come (a seconda del linguaggio dei sistemi legali particolari) ‘contrattisti indipendenti’, ‘lavoratori autonomi’, ‘lavoratori contingenti’ o semplicemente ‘lavoratori gig’.

Questi contratti di lavoro sono quindi per definizione flessibili, temporanei, intermittenti, ragion per cui i diritti tradizionalmente garantiti ai dipendenti sono in gran parte o completamente assenti.

I sostenitori del lavoro su piattaforma sottolineano come, nonostante le criticità, permetta a molte persone che altrimenti avrebbero difficoltà a trovare lavoro di trovarne uno. Al contrario, i critici sostengono che permetta alle persone di essere licenziate senza alcun ricorso o spiegazione. Le prove suggeriscono che entrambi hanno ragione.

Per i sostenitori, la possibilità di lavorare da casa, il tempo di lavoro flessibile, la facilità di accesso, la possibilità di evitare la formazione non retribuita e di evitare i pregiudizi sociali sono tutti motivi per cui queste piattaforme consentono a più persone di trovare un lavoro retribuito.

Per molte personali il percorso verso il mercato del lavoro è effettivamente stato facilitato dalle piattaforme digitali, soprattutto per categorie che tradizionalmente faticano a trovare lavoro. Il rovescio della medaglia è che la relazione di lavoro non standard consente alle piattaforme di licenziare i lavoratori con altrettanta rapidità.

[…]

Nella Gig Economy, la stragrande maggioranza del lavoro è a basso salario, con il crowdwork tipicamente pagato meno del lavoro offline. […]

Nonostante i bassi salari, molti lavoratori apprezzano queste tipologie di impiego per via della loro flessibilità, caratteristica che può aiutare alcune persone a conciliare altri impegno e responsabilità […] con gli orari di lavoro. Tuttavia, alla fine, flessibilità è più spesso sinonimo di insicurezza.

Lo status di ‘lavoratore autonomo’ che i lavoratori, teoricamente, sceglierebbero pare per lo più imposto da policy che eludono le responsabilità delle aziende nei confronti dei lavoratori. Questa elusione delle responsabilità si manifesta chiaramente se si considera il lavoro dal punto di vista della suddivisione del rischio: mentre il contratto di lavoro standard mira a bilanciare i rischi tra lavoratori, aziende e governi, il lavoro su piattaforma lo trasferisce quasi interamente sugli individui lavoratori.

Un’altra area che ha subito cambiamenti significativi con l’esplosione del lavoro su piattaforma è quella della sorveglianza e del controllo. Invece di concentrare la forza lavoro in un singolo luogo fisico, le piattaforme digitali consentono infatti di controllare e coordinare gruppi numerosi e dispersi di lavoratori in modalità completamente decentralizzata. Ciò consente alle aziende di mantenere tanto i lavoratori quanto i servizi esternalizzati. […]

Un’altra caratteristica chiave di questi impieghi è che rendono compesso per i lavoratori associarsi in organizzazioni collettive come i sindacati. Questa dinamica è motivata dal fatto che le piattaforme mancano chiaramente di luoghi di lavoro in senso tradizionale. Inoltre i lavoratori sono spesso incentivati e costretti a competere direttamente tra loro, ostacolando ulteriormente qualsiasi forma di azione collettiva. […]

Gli effetti delle piattaforme in termini di rischio per i consumatori e per la società

Seguendo la propria peculiare filosofia di auto-regolamentazione, molte piattaforme hanno cercato di evitare le normative sulla sicurezza pubblica. A questo problema si aggiunge la sostanziale mancanza di responsabilità comune che affligge molti di questi ecosistemi, nei quali i clienti trovano spesso difficile ottenere assistenza quando qualcosa va storto.

La sempre crescente raccolta e analisi di dati quantificati da parte delle piattaforme digitali crea anche rischi per la privacy che possono influenzare gli utenti individuali e avere implicazioni per la società.

In particolari gli utenti delle piattaforme sembrano non essere sempre consapevoli che l’interazione continua con organizzazioni che sembrano offrire loro servizi “gratuiti”, li porta effettivamente ad essere arruolati per perseguire un altro obiettivo, quello delle piattaforme, che mirano a manipolare i comportamenti degli utenti a vantaggio di terzi paganti.

Inoltre, l’influenza delle piattaforme digitali sui media è stata oggetto di crescente attenzione sin dalle elezioni presidenziali statunitensi del 2016. Gran parte del focus si è concentrato sulle fake news e sull’interferenza dei governi stranieri nelle elezioni dei singoli stati tramite tali piattaforme.

Ma l’influenza delle piattaforme digitali sull’ecosistema delle notizie e del giornalismo va oltre la diffusione delle fake news. La loro crescita ha disturbato gravemente il modello di business delle news e ne ha disintermediato la produzione e il consumo, riducendo l’incentivo a produrre reportage originali e premiando la produzione di contenuti viscerali ed emotivi.

Un’altra importante preoccupazione è emersa con lo scoppio della pandemia da Covid-19. Questo evento ha influenzato quasi ogni settore di produzione, ma i lavoratori delle piattaforme ne hanno risentito particolarmente a causa della loro posizione precaria.[…]

La pandemia ha anche aumentato la dipendenza da parte di individui, aziende e governi dalle piattaforme online. Inoltre a consentito di mettere a fuoco i compromessi che i decisori politici devono affrontare nel tentativo di bilanciare la protezione della privacy e salute pubblica. […[ Le app di tracciamento dei contatti, associate ai test sistematici, sono state presentate come una soluzione promettente per limitare la diffusione del virus.

Questo tipo di sorveglianza ha tuttavia sollevato molte perplessità poiché comporta rischi significativi per la privacy, per i diritti e per le libertà civili, dato che è ancora poco chiaro fino a che punto il tracciamento possa essere effettuato nel rispetto della libertà individuale. […]

Regolamentazione dell’UE e principali sfide regolatorie

Unione Europea - Piattaforme Digitali - Annabelle Gawer

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La Commissione Europea ha sviluppato un’agenda regolatoria sulle piattaforme digitali con l’obiettivo finale di creare un ambiente affidabile, conforme alla legge e orientato all’innovazione per i soggetti che operano all’interno dell’UE.

Dato che la maggior parte delle politiche e delle normative applicabili non erano state progettate esplicitamente per le piattaforme online, nel 2019 l’UE ha introdotto una nuovo regolamento, il Platform-to-Business (P2B).

Il P2B mirava specificamente a promuovere un miglior ambiente commerciale per gli utenti delle piattaforme online, risolvere i problemi legati a pratiche sleali tra piattaforme e utenti e promuovere la trasparenza in queste relazioni commerciali.

Nel 2018, la Commissione ha anche istituito un Osservatorio sull’Economia delle Piattaforme Online, che monitora l’evoluzione dell’economia delle piattaforme per sostenere il lavoro delle istituzioni europee.

Nel dicembre 2020 ha ifine presentato le sue proposte per un nuovo Digital Markets Act (DMA) e un nuovo Digital Services Act (DSA) come parte della sua nuova iniziativa legislativa, il “pacchetto normativo” degli atti sui servizi digitali.

Per quanto riguarda le sfide regolatorie relative agli effetti delle piattaforme su consumatori, imprese, concorrenza e innovazione, Gawer & Srnicek (2021) identificano:

  • I limiti dell’analisi e degli strumenti tradizionali antitrust;
  • La violazione della privacy e della concorrenza mediante l’accumulo di dati personali;
  • L’evitamento sistematico delle normative settoriali;
  • La difficoltà nel contrastare i contenuti illegali e dannosi online.

Sul tema dell’impatto delle piattaforme sul mercati del lavoro, […] fino a poco tempo fa non esisteva un corpus regolamentativo dedicato al lavoro su piattaforma.

L’Agenda europea per l’Economia Collaborativa (2016) ha stabilito i principi di base che devono regolare l’economia digitale e il lavoro su piattaforma, ed è significativa per diversi motivi.

In primo luogo, stabilisce una definizione UE di “lavoratore”. In secondo luogo sostiene che le normative settoriali dovrebbero applicarsi alle piattaforme in quanto fornitori di servizi e non solo intermediari.

La Direttiva sulle Condizioni di Lavoro Trasparenti e Prevedibili aggiorna la Direttiva sulle Dichiarazioni Scritte del 1991, con l’intenzione di aumentare la trasparenza sulle condizioni di lavoro per coloro che hanno contratti non standard imponendo diverse nuove disposizioni per il lavoro non standard. Più recentemente, c’è la Raccomandazione del Consiglio sull’Accesso alla Protezione Sociale per i Lavoratori e i Lavoratori Autonomi. Questa proposta deriva dai principi del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali e mira esplicitamente ad affrontare il problema dei lavoratori non standard che hanno difficoltà ad accedere alla protezione sociale.

Le sfide regolatorie che derivano dall’impiego delle piattaforme includono la cattiva classificazione dei dipendenti delle piattaforme; il potere sproporzionato delle piattaforme sui lavoratori; e i bassi salari affrontati da molti lavoratori delle piattaforme.

Opzioni di Policy

I rapporti e gli studi condotti negli ultimi anni concordano sulla necessità di rafforzare l’applicazione dell’attuale quadro normativo e la regolamentazione dell’economia delle piattaforme.

Sulla base di Gawer & Srnicek (2021), si raccomanda, in primo luogo, l’adozione di un codice di condotta vincolante per le piattaforme gatekeeper. È importante prevenire il danno, anziché fare affidamento esclusivamente su un approccio basato sulla punizione ex-post. Le piattaforme con elevate quote di mercato non dovrebbero abusare del potere derivante dalla loro posizione dominante e dovrebbero essere disincentivate dall’utilizzare pratiche di esclusione. […]

Le preoccupazioni espresse nella maggior parte dei rapporti su questo argomento indicano che le problematiche legate alla concorrenza associate alle piattaforma digitali sono così ampie e articolate da non consentire ai poteri legislativi esistenti di affrontarle efficacemente.

Accogliamo quindi favorevolmente le proposte nel Digital Markets Act (DMA) proposto dalla Commissione Europea e nel Digital Services Act (DSA), che portano la politica e la regolamentazione nella giusta direzione in Europa. […]

La nostra posizione si differenzia dalle proposte DMA e DSA è nel chiedere:

  • Un regime di controllo delle fusioni più rigoroso per le piattaforme gatekeeper;
  • Che ogni piattaforma gatekeeper debba avere il proprio Codice di Condotta vincolante personalizzato;
  • Maggiori possibilità per le autorità nazionali di intervenire in caso di problematiche specifiche di ciascun paese;
  • Un nuovo diritto da parte degli utenti di limitare la generazione di “inferenze ad alto rischio”, ovvero quelle invasive della privacy, dannose per la reputazione e difficilmente verificabili;

[…]

In linea con il DMA proposto, si raccomanda che il Parlamento europeo legiferi per introdurre un nuovo regime regolatorio ex-ante per le piattaforme che comprenda sia interventi pro-competitivi che lo sviluppo di un Codice di Condotta vincolante per le piattaforme gatekeeper.

Tuttavia, a differenza dell’approccio della Commissione europea, si propone che ogni piattaforma “gatekeeper” abbia il proprio Codice di Condotta vincolante personalizzato, in linea con le raccomandazioni dell’Autorità Britannica della concorrenza e del mercato.

Si raccomanda anche di mettere in atto politiche volte a garantire la libertà di concorrenza. Pertanto, accogliamo con favore le proposte del DMA orientate all’apertura, neutralità, interoperabilità e concorrenza sulle piattaforme.

Per quanto riguarda l’apertura, le piattaforme non dovrebbero imporre restrizioni eccessive alla capacità degli utenti di utilizzare altre piattaforme o fornitori di servizi concorrenti.

Per la neutralità, le piattaforme non dovrebbero indurre in errore gli utenti o influenzare indebitamente i processi competitivi o i risultati delle ricerche degli utenti favorendo i propri servizi o prodotti rispetto a quelli dei concorrenti.

Si raccomandano inoltre regolamentazioni per imporre l’interoperabilità dei sistemi e una maggiore mobilità dei dati personali per aumentare la concorrenza e la scelta dei consumatori.

Per quanto riguarda il controllo delle fusioni, basandosi su Gawer & Srnicek (2021), […] si raccomanda di rafforzare il quadro attuale della concorrenza che controlla le fusioni. Si propone che le autorità antitrust debbano valutare se, in generale, una fusione possa essere considerata vantaggiosa o dannosa, considerando l’entità degli impatti derivanti e la loro probabilità.

I criteri di valutazione dovrebbero considerare, oltre ai prezzi, aspetti quali i monopoli dei dati, i rischi per la privacy e gli impatti sull’innovazione. Concordiamo con la proposta del rapporto Vestager di un nuovo insieme di criteri da utilizzare per valutare le acquisizioni che coinvolgono una piattaforma o un ecosistema dominante:

  • L’acquirente beneficia di barriere all’ingresso legate agli effetti di rete o all’uso dei dati?
  • Il target è un potenziale o effettivo vincolo competitivo all’interno dello spazio tecnologico/degli utenti o dell’ecosistema?
  • La sua eliminazione aumenta il potere di mercato all’interno di questo spazio, in particolare attraverso l’aumento delle barriere all’ingresso?
  • Se sì, la fusione è giustificata da efficienze?

Dati queste criteri, in particolare le barriere all’ingresso legate all’uso dei dati, condividiamo molte delle preoccupazioni degli esperti in merito al nulla osta da parte della Commissione europea in merito all’acquisizione di Fitbit da parte di Google.

Per quanto riguarda l’equità nei confronti dei consumatori, questo articolo concordiamo pienamente con il DMA e il DSA e raccomandiamo di rafforzare la legislazione suggerendo le seguenti regole: non discriminazione, termini equi, controllo delle decisioni algoritmiche, intelligenza artificiale e recensioni, accesso alla giustizia per gli utenti.

  • Non discriminazione: Le piattaforme non devono discriminare singoli fornitori o utenti che cercano di accedere alla piattaforma.
  • Termini equi: Le piattaforme devono commerciare con termini contrattuali equi e ragionevoli, senza pratiche di prezzo o comportamenti speculativi.
  • Controllo delle Decisioni Algoritmiche, Intelligenza Artificiale e Recensioni: le piattaforme devono essere trasparenti in merito al funzionamento dei loro algoritmi, e ciò deve poter essere controllabile. Ciò non implica che le aziende debbano divulgare i codici sorgente degli algoritmi ai regolatori, ma in caso di violazione, la responsabilità deve essere attribuita direttamente all’azienda.
  • Accesso alla Giustizia: le piattaforme devono rispondere a un meccanismo di arbitrato indipendente per le loro controversie con gli utenti, siano essi consumatori individuali o utenti commerciali.

Gli utenti non dovrebbero essere ridotti a fonti di dati e manipolati deliberatamente dalle piattaforme per impedire loro di prendere decisioni legittime o favorevoli ai loro interessi.

In accordo con il DSA, sosteniamo che le piattaforme non dovrebbero progettare interfacce e servizi che mirano a manipolare gli utenti per limitare le loro scelte, ingannarli o indurli a dipendenze. La privacy degli utenti deve sempre essere rispettata.

In accordo con il DSA, si raccomanda che le piattaforme offrano agli utenti una scelta reale sull’uso dei dati, che riguardi i loro ambiti di applicazione, le loro fonti e le loro combinazioni. [Questa norma] dovrebbe estendersi anche ai dati provenienti da inferenze […] limitando o eliminando la generazione di “inferenze ad alto rischio”, invasive della privacy, dannose per la reputazione e con bassa verificabilità […].

Per quanto riguarda l’applicazione, in accordo con Marsden e Podszun (2021), si raccomanda che la regolamentazione delle piattaforme passi per l’istituzionalizzazione di un robusto e adattabile insieme di meccanismi di applicazione.

Questo design istituzionale dovrebbe mirare a combinare i vantaggi della regolamentazione con il potere di rendere responsabili e far rispettare alle piattaforme i propri codici di autoregolazione. […]

Sembra esserci un approccio inconsistente tra il DMA e il DSA per quanto riguarda il ruolo attribuito agli organi di regolamentazione nazionali. Il coinvolgimento degli Stati membri nel regime del DMA sembra destinato a essere significativamente inferiore rispetto a quanto proposto nel DSA, che prevede un’applicazione diretta a livello nazionale.

Questo potrebbe diventare un problema significativo nel tempo poiché alcuni Stati membri, tra cui la Germania, dispongono di quadri normativi nazionali più avanzati. […]

Dovrebbe essere concesso maggiore margine di intervento alle autorità nazionali per consentire loro di intervenire tempestivamente ed efficacemente in caso di specifiche problematiche, garantendo al contempo la complementarità tra i livelli sovranazionale e nazionale.

Con riferimento alle discussioni relative agli impatti negativi delle piattaforme piattaforme sulle condizioni di lavoro, [sosteniamo che ci si debba concentrare] sul modo in cui l’impiego di contratti lavorativi non standard (tipicamente autonomo) impedisce l’accesso a molte o a tutte le protezioni sociali associate all’occupazione a tempo indeterminato e pieno.

Per correggere questa tendenza, basandosi su Gawer & Srnicek (2021), si raccomanda una ridefinizione della categoria di “lavoratore” in modo da includere le nuove forme di lavoro su piattaforma e il lavoro non standard.

In questo modo, coloro attualmente esclusi dalle protezioni sociali standard verrebbero riportati sotto la loro tutela. Ci sono diverse definizioni che potrebbero essere utilizzate per attuare questo cambiamento, ma indipendentemente dalla definizione scelta, è importante che i lavoratori siano categorizzati di default come dipendenti.

Esistono diversi ambiti in cui la natura del lavoro sulle piattaforme digitali impone che alcuni elementi del diritto tradizionale vengano modificati o estesi. Ad esempio, le caratteristiche di queste tipologie di lavoro – sporadico, frammentato, con costi operativi elevati e distribuito tra più clienti – rendono più complesso stabilire un salario minimo.

Un passo significativo verso una soluzione del problema potrebbe passare per il divieto dei salari a cottimo nel lavoro on-demand, a favore di salari orari. […]

Dato il diffuso utilizzo della sorveglianza sul posto di lavoro nell’economia delle piattaforme è fondamentale fissare una serie di principi relativi ai diritti sui dati per tutti i lavoratori.

In primo luogo è necessario normare la raccolta dei dati e l’uso dei sistemi algoritmici e vietarli quando opportuno. Nel caso in cui vengano raccolti dati sui lavoratori un secondo passo consisterebbe nel rendere quei dati trasparenti e accessibili ai lavoratori stessi. […]

Raccomandiamo inoltre di dare voce a questi lavoratori supportando la creazione e l’espansione delle cooperative di piattaforma. Che siano locali, regionali, nazionali o sovranazionali i governi hanno un ruolo fondamentale nel sostegno di queste forme di collaborazione, che promettono migliori condizioni di lavoro, un impiego più sicuro e crescita economica su scala locale. […]

Conclusioni

Concludiamo sottolienando la necessità di un nuovo modo di regolamentare l’economia delle piattaforme, che combini una regolazione robusta ma flessibile ex-ante, un’azione di enforcement ex-post e che coinvolga attivamente le piattaforme online e i membri del loro ecosistema.

Si chiede inoltre di sostenere la ricerca relativa al comportamento delle piattaforme e degli ecosistemi. Le teorie economiche esistenti basate sui concetti fondamentali di “mercati” e “aziende” (che portano alla regolamentazione) potrebbero non essere sufficienti per interpretare correttamente il comportamento delle piattaforme online.

Con una digitalizzazione che consente la generazione di complementarità basate sui dati tra prodotti, servizi e settori, una migliore unità di analisi rispetto a “mercato” potrebbe essere quella di “ecosistema” in grado di intersecare mercati o settori.

È necessaria infine ulteriore ricerca sull’evoluzione del comportamento delle piattaforme negli ecosistemi e su come gli ecosistemi si sviluppino, coalizzino, competano ed evolvano nel tempo. […]

Riferimenti

  • Allen & Overy (2020) Global Antitrust: Digital Markets Act.  17 December. 
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